Scrive il regista Andrea Collavino: «Turandot è il dramma della donna intelligente, che non ritiene nessuno alla sua altezza, non sopporta chi non è abbastanza intelligente. È un personaggio, anzi! una personaggia modernissima, una donna in contatto con se stessa, con i propri bisogni. Turandot impone un ostacolo, i tre indovinelli: non tutti possono rispondere. E non è per la prestanza o la bellezza, né per la bontà d’animo o la ricchezza. Calaf è un principe in disgrazia. Povero, reietto, esiliato, eppure ricco di virtù, artefice della propria fortuna…

Le domande che ci poniamo davanti alla storia di Turandot non possono avere risposte logiche. È una fiaba, e come tale parla secondo la logica del sonno e del sogno. La fiaba è immortale, come il mito, e ogni epoca ritrova in essa un tema che la riguarda. Oggi Turandot ci parla di Narciso, della paura di amare, ma anche della paura di abbandonare le certezze e di immergersi nelle acque della vita adulta. Una donna divisa tra la voglia di seguire il desiderio e la paura di perdere sé stessa e la libertà. Sono questa modernità e complessità di Turandot, che voglio far risaltare.

Ma accanto a questi temi, brillano gli elementi fiabeschi, notturni, gli elementi del sogno. Voglio tener fede alla presenza della Commedia, con i personaggi di Pantalone, Brighella e Truffaldino, che con la loro teatralità viscerale cuciono la storia e accentuano ancora di più la presenza della fiaba. Basandosi sull’Histoire du prince Calaf et de la princesse de la Chine (François Pétis de la Croix), la trama imbastita dal genio di Carlo Gozzi, nel 1762, che già pone al centro il personaggio di Turandot rispetto all’originale, farà da guida alla fruizione e all’attenzione degli spettatori».

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